La madre terra si ribella. Il fattore ambientale influenza le condizioni di vita delle popolazioni e dei loro habitat. Ecco dunque i rifugiati e migranti ambientali.
Gli interventi dell’uomo sulla natura sono un fatto “naturale”, una sua capacità specifica che lo contraddistingue dal resto del regno della vita.
Gli impatti distruttivi dell’uomo sul suo ambiente naturale non hanno ricevuto una grande attenzione fin quando una popolazione che a livello mondiale contava poche centinaia di milioni di uomini e donne si vide confrontata con un regno naturale immenso, spesso percepito come inesauribile. Era la natura la grande forza che recava danni, sofferenze e morti alle comunità umane. La Bibbia ci racconta di numerose carestie, di invasioni di cavallette, terremoti e alluvioni.
Per molti secoli abbiamo assistito a un immaginario organico della “madre terra” con l’avanzamento a grandi passi delle scienze naturali; la natura veniva percepita come un grande deposito di materie prime, come una risorsa tendenzialmente illimitata e indistruttibile da sfruttare nel modo migliore. Nel corso degli ultimi decenni si sono invece alzate delle voci di allarme che rivolgono l’attenzione alle conseguenze negative e potenzialmente catastrofiche di un rapporto insostenibile dell’uomo con il suo ambiente naturale a livello globale, tra cui in primo luogo quella dei Pontefici. Con un impatto anche sulla pace globale e sui flussi migratori. Sono numerose le dinamiche che aggravano il rapporto strumentale e rapace dell’uomo con il suo ambiente naturale.
La crescita economica dell’Ottocento e dei primi due terzi del Novecento è una storia di successo e mito fondante per i Paesi industrializzati che ha portato una ricchezza inimmaginabile. Per questo, non sorprende che il concetto della crescita ha tutt'oggi una forte connotazione positiva. Questa prospettiva contiene elementi critici: il consumo delle materie prime, in particolare dei carburanti fossili, continuerà a crescere con un peso notevole sulla biosfera. Il problema non sta solo nell'estrazione di risorse non rinnovabili, con grandi danni all'ambiente naturale, ma anche nei limiti che sta incontrando l’atmosfera terrestre come discarica delle emissioni che risultano dalla combustione dei carburanti fossili. L’ulteriore aspetto esplosivo è la distribuzione ineguale di questa crescita economica. In Africa, nel Medio Oriente, nell'Asia Centrale l’instabilità politica, il degrado ambientale, e soprattutto la mancanza di acqua, creano una situazione esplosiva. Un altro fattore che contribuisce alla crisi dell’alimentazione è il terremoto dei prezzi del cibo, l’abbassamento delle riserve a causa della siccità e dei fenomeni meteo estremi che colpiscono ciclicamente e sempre più spesso varie parti del mondo, legati anche ai cambiamenti climatici. Un’ultima ragione per la crescita della fame nel mondo è che i prezzi degli alimenti sono connessi strettamente con quelli del petrolio in un’agricoltura basata sull'impiego di grandi mezzi pesanti mandati avanti con carburanti fossili e sui concimi chimici la cui la produzione assorbe grandi quantità di energia. L’impatto sulla stabilità geopolitica e sui flussi migratori di intere regioni del mondo è evidente.
Crisi ecologica
L’espansione della produzione mondiale ha portato anche a un uso vorace delle risorse naturali. L’estrazione delle materie prime, la lavorazione, la distribuzione e lo smaltimento dei beni sta cambiando processi naturali fondamentali a livello globale. Sono i cambiamenti climatici, la riduzione della biodiversità, la deforestazione, la dispersione di sostanze tossiche nell'aria, nell'acqua e nella terra e la desertificazione che minacciano la base naturale della vita umana. Al contempo l’umanità ha colonizzato le nicchie ecologiche del pianeta. I processi e prodotti in questi ambiti di agire sono talmente lontani dall'evoluzione naturale che nel caso qualcosa “va male” non esistono le controforze nella natura. La crisi ecologica è una crisi del “troppo”, di un peso troppo grande della tecnosfera sulla biosfera. Si parla di una guerra che l’umanità ha dichiarato alla natura. Circa un miliardo della popolazione vive in uno scambio diretto con l’ambiente e le sue caratteristiche di biodiversità sono il garante della sua sopravvivenza. L’esperienza insegna che non si tratta solo della produzione localizzata degli alimenti che dipende dalla biodiversità e dalle risorse genetiche, fanno anche parte di questo grande gruppo i poveri che non possiedono la terra, ma trovano una parte importante dei mezzi di sussistenza nelle foreste, nei laghi e nelle aree di proprietà comune. L’agricoltura industriale non solo distrugge la diversità biotica, ma riduce anche il libero accesso a praterie, alberi e corsi d’acqua che sono essenziali per il sostentamento di milioni di poveri nel Sud del mondo. Una strada importante per combattere la fame e per promuovere la pace, è dunque la salvaguardia e la promozione attiva della produzione localizzata degli alimenti nelle comunità locali in piccoli appezzamenti con metodi di coltivazione tradizionali e con la ricchezza storica di sementi.
Inquinamento
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma che, a livello mondiale, sono due milioni i morti riconducibili alle emissioni di polveri sottili, di cui la metà nei Paesi del Sud. Si potrebbe ridurre la mortalità nelle città del 15% l’anno con l’introduzione di standard adeguati. Il traffico motorizzato individuale è la fonte più importante di inquinamento e la sua riduzione significa soprattutto quella del trasporto di beni e persone su gomma. L’inquinamento dall'industria e dalla produzione di energia con carbone e metano nonché dall'incenerimento dei rifiuti ha visto un decisivo miglioramento nel mondo sviluppato attraverso una lunga serie di leggi dagli anni Cinquanta dell’ultimo secolo in poi, ma anche a causa dello spostamento delle industrie più inquinanti nel Sud del mondo ("environmental dumping") dove le leggi sono meno stringenti e i costi del lavoro più bassi ("social dumping"), con l’inevitabile peso sui più poveri, che possiamo testimoniare quotidianamente.
La sfida oggi è ridurre drasticamente le emissioni di gas serra per contenere gli impatti dei cambiamenti climatici il più possibile e gestire quelli non più evitabili attraverso misure di adattamento. Il carattere globale dell’effetto serra potrebbe costringere la comunità internazionale a trovare un sistema valido per tutti gli attori, quelli forti e quelli deboli, nel Nord e nel Sud, di fare il passo verso un’economia a basso impatto ambientale.
Sostenibilità e conversione ecologica
Tutti questi fenomeni hanno creato le premesse per una correlazione sempre più stretta tra degrado ambientale, povertà e crisi crescenti, con gli inevitabili flussi migratori, tanto da indurre a parlare di conflitti e profughi ambientali. Per far fronte a tutto ciò occorre un approccio olistico, sostenibile e coordinato. Il concetto di “sostenibilità” è correlato a quello di responsabilità verso i lontani da noi, nel tempo – le future generazioni – e nello spazio.
Le emergenze ambientali, le diseguaglianze e l’estrema povertà nel Sud del mondo sono anche il terreno fertile che spinge milioni di persone a migrare verso le grandi città e verso il Nord per cercare una vita migliore. I cambiamenti climatici colpiscono soprattutto il Sud del mondo, ma si fanno sentire sempre di più anche nel Mediterraneo. I sentieri verso la sostenibilità si conoscono: uno stile di vita tendenzialmente generalizzabile al resto del mondo nel Nord e il trasferimento massiccio di risorse finanziarie verso il Sud per fermare il degrado ambientale e l’estrema povertà. Ogni misura di risparmio energetico, di aumento dell’efficienza energetica, di impiego delle energie rinnovabili, di aumento della produttività delle risorse, di riduzione del traffico motorizzato individuale e dei rifiuti, di adozione di forme di produzione e consumo più vicino ai cicli naturali è un passo nella direzione giusta di alleggerire il peso sulla biosfera. Un’ecologia umana integrale, una cultura nonviolenta, per dirla con papa Francesco. Ecco ciò che serve.